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Elia

IL  PROFETA  ELIA

 

elia001.jpgLa memoria di Elia fu tenuta viva in modo particolare sul Monte Carmelo, dove si scelse di seguire il Dio di Israele. Secondo il racconto, Primo Libro dei Re, capitolo 18, il sacrificio di Elia, consumato dal fuoco proveniente dal cielo, ha mostrato al popolo che Yahweh era il vero Dio. Elia alla presenza di Dio sul monte Horeb Elia fu disponibile per l'opera di Dio ed inviato a proclamare la sua parola. Elia intraprese un lungo viaggio per il deserto, un viaggio che lo lascio' abbattuto. Si mise sotto un albero e chiese la morte. Ma Dio non permise la sua morte e lo spinse a continuare il suo viaggio fino al monte Horeb.
Quando arrivò, Dio si mostrò ad Elia non nei consueti segni dell'Antico Testamento del fuoco, del terremoto e del forte vento ma come una leggera brezza. Elia fu inviato nuovamente al suo popolo per continuare la volontà di Dio. Da Elia, i Carmelitani imparano a sentire la voce di Dio nel silenzio e nell'imprevedibile. Cercano di essere disposti alla Parola di Dio per formare la mente e il cuore affinché il modo di vivere ed operare sia profetico e fedele alla memoria del nostro padre Elia.

 


 

Elia nel Carmelo

 

Caratteristiche della spiritualità dell'Ordine carmelitano, oltre la contemplazione, sono la nota mariana nella consuetudine di vita con Maria, di cui il titolo di Fratelli e la prima chiesa nell'eremo, a lei dedicata, sono segni eloquenti; e la nota eliana, che i carmelitani hanno sviluppata trovandosi a vivere sul Carmelo, luogo delle gesta del grande Profeta.

Elia è il profeta che coltiva la sete dell'unico Dio vivo e vero (1Re 17,1) e che, dopo un cammino lungo e faticoso,impara a leggere di nuovo i segni della presenza di Dio (1Re 19,1-18). È il contemplativo rapito dalla passione per l'assoluto di Dio (2Re 2,1-13), la cui «parola ardeva come fiaccola» (Sir 48,1). In forza di questa sua esperienza si lascia coinvolgere nella vita del popolo, riconducendolo alla fedeltà dell'unico Dio e solidarizzando con i poveri e i lontani. Da lui il Carmelo ha ereditato la passione per il Signore e il desiderio di interiorizzare la Parola nel cuore, per testimoniare la sua presenza nel mondo, accettando che egli sia realmente Dio nella sua vita.

 Dalle Costituzioni delle monache dell'Ordine dei fratelli della beata Vergine Maria del Monte Carmelo Cap V nn 16.18.

 


 
  Elia, il Profeta
 
 

Accanto ad un'accentuata dottrina mariana, nel Carmelo si è sempre coltivata una "forte coscienza elia­na", ricca di spiritualità ma anche di devozione popola­re. "Carmelitarum Dux et Pater", così l'Ordine, nato presso la Fonte [di S. Elia], sul Monte Carmelo, ha chiamato per secoli il profeta Elia. E per buona parte di questi secoli di esistenza i Carmelitani si sono battu­ti per affermare e difendere la loro origine da Elia pro­feta, perfino come fondatore e iniziatore della loro e­sperienza di gruppo riunito al servizio del Signore.

Oggi le cose sono pacifiche: i Carmelitani non risalgo­no storicamente più in sù degli inizi del 1200. La "suc­cessione storica ininterrotta" da Elia ai Carmelitani è ormai solo un insieme di leggende. Permane invece o­rientativo il modello eliano del rapportarsi col Signore (solitudine, penitenza, zelo generoso, esperienza mi­stica) e dell'inserirsi nella storia del suo popolo (preoc­cupazione per la crisi religiosa, difesa dei poveri, ami­cizia con gli emarginati, solidarietà e speranza).

  
L'immagine biblica

 La storia di Elia si trova nella cronaca dei re di Giuda e di Israele (1Re 17-19; 21; 2Re,1-2): ed è difficile distin­guere in questi testi quello che è storico da quello che è leggendario. Perché sì tratta di libri compilati durante un periodo di crisi di coscienza nazionale: è il momen­to così detto "deuteronomistico", nel quale si "reinter­pretavano" i fatti del passato per capire il presente ca­tastrofico e il fallimento delle speranze storiche. Arri­vando alla conclusione che non Dio aveva tradito la sua alleanza, ma Israele aveva sbagliato, inseguendo alleanze e progetti di vita che non corrispondevano al­la sua storia, e per questo tutto è finito nel disastro.

Il profeta Elia, e poi anche il suo successore Eliseo, appaiono ambientati nel contesto di elementi storici e istituzionali che minacciano la fedeltà al Dio vero. E la loro stessa attività è di carattere "restaurativo" per la fede pura e di minaccia violenta contro chi "fa deviare" il popolo (il re, la giustizia, i militari, i sacerdoti...). Ge­zabele, la sposa straniera e pagana del re Acab (869-850 a.C.) Il re del regno di Israele al tempo di Elia, rappresenta la massima degradazione: voleva strap­pare dal cuore di Israele il Dio dell'alleanza, per questo uccise tutti i profeti di Jahvé, per sostituirli con quelli di Baal.

In questa situazione di forzata e violenta "adulterazio­ne" religiosa, sorge improvvisamente il profeta Elia, un uomo vestito in maniera rude (2Re, 1,8), di carattere irruente (1Re, 18,17), amante della vita nomade e del­le solitudini (1Re,17,2-6.12). Egli si presenta come ac­cusatore della strumentalizzazione religiosa (1Re, 17,18; 2Re 1,16) e del potere (1Re 21,20-24), e impe­gnato a reintrodurre i veri valori religiosi della tradizio­ne, particolarmente Jahvé come unico Dio per Israele (1Re, 18, 21-24. 36-39).

Originario dell'oltre Giordano (Tesbe [el-Istib], vicino ad Aglun) (1 Re,17,1), terra marginale, di grandi foreste, di gente nomade e libera, conserverà per tutta la sua vita questo carattere dell'improvvisazione libera, dei colpi fulminei, della totalità senza limiti nell'entusiasmo e nell'abbattimento. Per questo rappresenta la fisiono­mia tipica del profeta: cioè dell'uomo dominato dalla Spirito, che irrompe nella vita degli uomini senza preavviso, e scompare misteriosamente quando Dio lo "prende con sé". Alla luce della Bibbia Elia appare ca­ratterizzato da cinque atteggiamenti fondamentali:

  • è il vincitore del Monte Carmelo (1Re 18), e quindi il restauratore del "monoteismo" in contesto di poli­teismo paneconomico, che provoca la decomposizio­ne e perfino la irrisione della tradizione religiosa dei padri;
  • è l'avversario del potere regio: con il quale spesso entra in sfida pubblica. Sia su questioni di principio religioso ("chi è il vero Dio?"), sia per problemi pratici dopo l'agguato mafioso a Naboth, Elia appare di una severità durissima (cfr. 1Re 21,1-29;
  • è l'uomo del mistero: che appare all'improvviso e poi si sgancia senza farsi più trovare. Su di lui pende un mandato di cattura del re, ma senza efficacia. Pos­siamo dire che usa piuttosto la tattica del "mordi e fug­gi" e non quella della presenza ostinata e caparbia,come avviene per esempio con Geremia o Amos;
  • è l'uomo che ha parlato con Dio (sull'Horeb), in un contesto che rimane sempre paradigmatico per i misti­ci (mirabile quella ‘brezza leggera" o "silenzio sonoro" di cui parla il 1 Re 19,1 7). La teofania dell'Horeb basterebbe da sola a farne un grande testimone nella storia di Israele.
  • È infine artefice di pace, secondo la interpretazione posteriore. Per es. l'ultimo dei profeti, Malachia (450 a.C) lo presenta inviato: "per ricondurre il cuore del pa­dre verso il figlio"( 3, 23-24); riprende ancora l'idea, con ampliamenti interessanti, proprio alla vigilia dell'ar­rivo del Cristo (30 a.C. circa), il Siracide 48, 1-11,con uno splendido profilo del "profeta di fuoco". Ne fa eco anche l'annuncio dell'angelo a Zaccaria in apertura della nuova alleanza (Lc. 1,15-17).

Nell'ambiente del Nuovo Testamento il ricordo di Elia è molto popolare. Anche sul Calvario la gente crede che Elia "è salvatore" nei momenti più tragici (Mt 27,47): ciò è conforme ad una tradizione giudaica che soprav­vive ancora oggi. Se il Battista reincarna lo stile "peni­tente" di Elia (cfr. Mt 3,4; 2Re 1,8), Gesù sembra aver­lo a volte come modello diretto: nella sua missione uni­versale (cfr. Lc 4,25s), nei miracoli (Lc 7,11-16; cfr. iRe 17,17-24), nell'affrontare gli eventi decisivi (la trasfigu­razione, Lc 9,30-31), nell'essere consolato da un an­gelo (Lc 22,43; cfr. 1Re 19,5.7). Elia elevato al cielo, mentre "il suo spirito riposa su Eliseo" (2Re 2,1-15), prefigura l'ascensione di Cristo che invierà ai suoi di­scepoli' "Colui che il Padre ha promesso" (Lc 24,51). Per Giacomo (Gc 5,17s) Elia è anche modello della preghiera del giusto, che ottiene esaudimento.

 

Nella tradizione carmelitana

Possiamo distinguere due grandi periodi nella relazio­ne fra il Carmelo ed Elia: nel Carmelo Medievale, dal XII al XV secolo Elia è visto soprattutto come un ere­mita, e perciò maestro della vita solitaria e orante dei Carmelitani; nel Carmelo del 1500 e in seguito, Elia è reinterpretato come modello di vita mista, fatta di con­templazione e azione. Di recente sono stati proposti anche altri sviluppi.

 

Eremitismo

Della fase interpretativa eremitica si possono citare per esempio le famose osservazioni di Jacques de Vitry (circa 1220): "sull'esempio e ad imitazione di quest'uomo santo e solitario, il profeta Elia, vivevano solitari sul Monte Carmelo... abitando le loro piccole celle come incavi d'alveare, e come api del Signore, producevano miele di una dolcezza tutta spirituale".

Anche le prime Costituzioni giunte a noi (quelle di Lon­dra, 1281) descrivono i Carmelitani come discepoli della tradizione solitaria, contemplativa e penitente dei grandi profeti Elia ed Eliseo, "devoti abitanti del Monte Carmelo". Tale attestazione, chiamata rubrica prima subirà ampliamenti, ma sempre nella stessa direzione, nelle edizioni successive che si conoscono.

Un vero salto di qualità in tutta la tradizione avviene però verso il 1370, con la compilazione di Felip Ribot (+1380): "De Institutione primorum monachorum.. li­bri decem". Si tratta di una antologia di testi storici e spirituali, che ha segnato la coscienza collettiva dei Carmelitani in maniera unica. Specialmente per quan­to riguarda il tema del rapporto con il profeta Elia. Ad una prima parte chiamata "ascetica", - suggestivo commento allegorico del ritiro del profeta Elia presso il torrente Carith - segue poi una ricostruzione storica delle vicissitudini dell'Ordine da Elia all'epoca vicina al Riboti, prima metà del l300.

Sulla stessa lunghezza d'onda sono per es. il Bacon­thorp, provinciale di Inghilterra (+ 1346), Jean Soreth (+ 1471) il migliore commentatore della Regola (E­xpositio parenetica), Arnoldo Bostio (+1499). Anche se costoro di quando in quando accennano anche alla ‘at­tività' di predicazione, di carità e di difesa della vera lede da parte di Elia ed Eliseo.

 

Vita mista

Quando apparve la riforma teresiana, la tendenza a mettere in luce la via contemplativa eremitica, già si contemplava con l'impegno a favore del prossimo, letti entrambi nella vita dei "santi Padri fondatori" era linea ormai collaudata : si ricordino i due motti classici vit Deus ante cuius conspectu sto" e Zelo zelatus sum pro Domino Deo exercituum". Veniva chiamata "vita mista", cioè aperta ad una seria e armoniosa inclusione delle due modalità. La troviamo ben attestata in Teresa e in Giovanni; come anche in molti dei loro continuatori.

Per quanto riguarda il grande tronco del Carmelo, per es. nella riforma di Touraine, il corrispettivo francese della riforma teresiana, troviamo però un Jean de Saint-Samson (+1636) che afferma che i Carmelitani devono vivere "solitari... in perpetua orazione, silenzio e totale ritiratezza... alfine d'essere elevati alla contemplazione delle cose divine... E così si accederà a tutti i beni e le ricchezze spirituali del nostro padre sant'Elia". Ma d'altro canto, il principale iniziatore della medesima riforma, Philippe Thibault, e dopo di lui Michele di S. Agostino (+1684), grande maestro di mistica carmelitano, attestano la preoccupazione di ‘associare' la contemplazione all'azione, la vita contemplativa alla generosità apostolica. E questo proprio ad imitazione dei due profeti Elia ed Eliseo La composizione delle due modalità di cercare il Signore permane come finalità globale e vincolante anche nelle nuove Costituzioni che l'Ordine si è dato dopo il Concilio.

 

Recenti sviluppi

Una parola su alcuni recenti sviluppi della riflessione eliana, all'interno dell'Ordine carmelitano. Vogliamo accennare all'apporto che in questi anni ha dato al tema eliano un carmelitano olandese-brasiliano, Carlos Mesters. Per Mesters Elia profeta appare come un uomo che vive anzitutto dentro di sé delle lacerazioni fra antico e nuovo, fra immagini ormai spiazzate di Dio e della sua significanza, e nuove sfide culturali e sociali. La sua lotta pubblica contro i potenti del sistema , come anche la sua esperienza di penitente, solitario, mistico, si devono leggere all'interno di un processo di superamento della crisi che Elia vive con il popolo e a vantaggio del suo popolo.

Il cammino della solidarietà con gli oppressi e gli smarriti, il cammino della lotta aperta per la giustizia e

  • contro ogni strumentalizzazione della religione, raggiungono il loro vertice e trovano la loro segreta forza
  • nella vita contemp/ativa cioé nella purificazione interiore che Elia subisce in circostanze misteriose
  • sull'Oreb, e si rende pubblico nella ascensione finale nel fuoco.

 

Immagini e culto

Le immagini di Elia sono tantissime, sia come illustrazione delle pagine bibliche che come modello di vita cristiana e specialmente di vita monastica. Gli episodi biblici che più vengono rappresentati sono: la sfida del sacrificio sul Carmelo, Elia vestito da monaco solitario col tipico mantello e il bastone, Elia confortato dall'angelo nel deserto, e specialmente il carro di fuoco finale, col dono del mantello ad Eliseo.

Ricordiamo gli affreschi della sinagoga di Doura-Europos (sec. III) e quelli delle catacombe (cimiteri di Domitilla e Lucina), i sarcofaghi del IV/V secolo e il Castel S. Elia in Calabria (XI sec.); le vetrate medievali di Chartres o di Brouges e le miniature di molte bibbie monastiche e principesche; le icone russe o di monte Athos e gli arazzi come quelli di Bruxelles ora conservati al castello sforzesco di Milano; i saggi pittorici di Guercino, Moretto, Rubens, Reni, Tiepolo, Cranach, Tintoretto, Signorelli, ecc. e fino alle recenti vetrate di Chagall (+1986). Per il culto liturgico di Elia profeta, l'Oriente è stato più creativo e abbondante, data anche la presenza notevole della spiritualità monastica nei testi eucologici. L'Occidente invece ha sempre avuto un po' diffidenza verso i santi dell'antico testamento. Solo i Carmelitani saranno i testimoni di un culto liturgico per Elia, ma anch'esso sorto non troppo presto, verso la fine del 1400; definitivo nell'edizione del messale 1583. Tanto in Oriente che fra i Carmelitani la festa si celebra il 20 luglio.

Bruno Secondin, O. Carm.

 


 

Elia profeta di fuoco: mistico e credente


La vicenda di Elia è raccontata nel cosiddetto "ciclo di Elia": 1 Re 17 - 2 Re 2.

Il profeta Elia opera nel Regno del Nord, il Regno d'Israele scismatico e tentato dall'idolatria, nel IX secolo a.C., sotto il re Acab e sua moglie Gezabele, e i re Achazia e Joram, dunque tra l'874 e l'841.

Sono anni di grande prosperità economica, di urbanizzazione (fondazione della capitale Samaria), di commerci internazionali, di relazioni con i popoli pagani vicini (Acab, figlio del re Omri sposa Gezabele, figlia del re fenicio di Sidone). Sono anche anni di idolatria e di sincretismo religioso: gli dei fenici Baal e Astarte trovano posto nel regno del Nord accanto al Dio Unico, con i loro culti frenetici, con i loro templi e sacerdoti di origine fenicia; appaiono anche i falsi profeti di Baal. Questa idolatria e sincretismo religioso significano anche sfruttamento dei poveri, come anche il sorgere di classi ricche e amorali che calpestano i poveri, i piccoli.

Di fronte al dilagare dell'idolatria e dell'ingiustizia, il Dio unico suscita una resistenza: settemila uomini che non piegarono il ginocchio davanti a Baal (non adorarono Baal), i Recabiti e infine i profeti del Dio unico. Tra questi si erge come capo-scuola il profeta Elia: "Allora Sorse Elia profeta, simile al fuoco, la sua parola bruciava come fiaccola" (Sir 48,1, cfr 48,1-11)

 
 1 Re 17,1

 Elia appare all'improvviso nel testo biblico, si presenta in modo brutale davanti al re Acab. Il suo nome è Elijjah che significa: "JHWH è il mio Dio"; ma anche l'appellativo di Tisbita potrebbe significare "colui che si converte" o "colui che provoca la conversione": infatti il soprannome di Tisbita deriva dalla stessa radice di teshubah, che significa conversione.

Le sue prime parole sono: "Dio, il Signore, è vivente; egli vive, e io sto davanti alla sua faccia". Elia è un grande mistico, è colui che ha fatto l'esperienza della comunione con l'Essere che da ogni parte si effonde. La sua esperienza di Dio è in due sguardi che s'incontrano, nell'amore e nella libertà. Dio è per Elia il pulsare della vita stessa, come si manifesta nei nostri momenti di verità: momenti di un amore libero, quando si sciolgono i nodi del cuore (liberamente da H. Le Saux). Egli sente con tutte le fibre del suo essere che Dio vive e che egli sta davanti a Dio.

Da questa relazione intima e profonda sgorga l'annuncio che "in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo dirò io". Elia inizia il suo ministero con una testimonianza della sua fede, niente di più.

 

 Nella solitudine del deserto e presso gli impuri pagani: 1 Re 17,2-24.

 Alla fede di Elia espressa in quella testimonianza efficace davanti ad Acab Dio risponde indirizzandogli la parola. La voce di Dio risuona finalmente chiara nel cuore di Elia, Dio gli chiede di andarsene, di ritirarsi in disparte, oltre il Giordano, in una zona arida, dove c'è il torrente Kerith. Dio lo vuole solo, in disparte, nell'inattività e gli annuncia che sarà nutrito da corvi, animali impuri secondo la Legge di Mosè. Elia dunque in silenzio, in disparte, nell'inattività, rivive la storia dell'esodo e del deserto, in cui Dio provvedeva agli Israeliti la manna al mattino e la carne alla sera e li dissetava alla roccia, richiedendo loro la fede in Lui, unico Signore. Ed Elia esegue il comando di Dio, sta nel deserto, in attesa del suo Dio, in una preghiera che si nutre solo di fede. Elia è un uomo di fuoco, capace di agire nella storia, ma Dio gli chiede di stare in silenzio, in disparte, e di vivere di sola fede nella preghiera dell'eremo, nutrito dai corvi del cielo.

"Dopo alcuni giorni il torrente si seccò, perché non pioveva sulla regione"

Elia sperimenta la siccità, effetto della sua stessa parola. Ma la reazione all'avverarsi delle sue parole da parte del re Acab e di tutto Israele gli è nascosta.

 Forse ora Dio gli chiede di ritornare in mezzo al popolo per raccogliere i frutti della stretta della fame, fame materiale che si convertirà in fame del Dio vivente... Ma non è così! La parola di Dio gli ordina di andare fuori della Terra santa; a Zarepta di Sidone, una città nel pagano regno fenicio, da cui proviene la regina Gezabele, lì sarà nutrito miracolosamente da una povera vedova pagana. Elia non è mandato a predicare presso i pagani, ma deve stare presso una vedova pagana, a casa sua, in disparte, inattivo. A Elia viene richiesto di vivere di fede, di vivere nell'obbedienza della fede, in disparte, a casa di una povera vedova pagana, ancora inattivo.

 Muore il figlio della vedova. Elia mosso a compassione, credendo che il suo Dio vive, prega il Dio vivente, che è Signore e Dio della vita, perché la nefesh torni nel corpo del ragazzo. Dio ascolta la preghiera del suo servo e il ragazzo torna alla vita e viene subito consegnato alla madre. La donna esclama: "Ora so che tu sei uomo di Dio e che la vera parola del Signore è sulla tua bocca". La vedova svela la vocazione di Elia: egli è un profeta, la Parola di Dio è sulla sua bocca.

 

Il Dio vivente o gli idoli: 1 Re 18,16-46.

Ormai sono passati tre anni e mezzo, tre lunghi anni di vita in disparte nel deserto e nel territorio pagano della Fenicia. Ed ecco che la parola del Signore si rivolge ad Elia e gli ingiunge di mostrarsi ad Acab: Dio finalmente concederà la pioggia alla terra, finirà la siccità. Achab, appena lo vede, lo apostrofa dicendo: "Sei tu la rovina di Israele!". Ma Elia risponde dicendo che è Acab la rovina di Israele, perché è andato dietro ai Baalim. Allora propone un confronto, una sfida davanti a tutto il popolo, sul monte Carmelo, tra lui, il profeta del Dio vivente, e i profeti di Baal e Asera, circa un migliaio. Il popolo di Israele sul Carmelo è messo davanti a una scelta decisiva: o il Signore o gli idoli! Da una parte sta Elia, dall'altra i quattrocentocinquanta profeti di Baal. Ogni parte invocherà il suo Dio, chiedendo che scenda il fuoco dal cielo e consumi la vittima sull'altare: "La divinità che risponderà concedendo il fuoco è Dio!". Dopo gli inutili tentativi dei profeti di Baal, Elia invoca il Dio vivente; gli chiede che si faccia conoscere in maniera eclatante, perché il popolo si converta. Anche questa volta la sua preghiera è esaudita: scende il fuoco dal cielo che divora vittima, legna, pietre. Dio si rivela come fuoco divorante, che consuma e trasforma. E' una vera teofania di Dio, ma anche una manifestazione del suo profeta. Ormai la parola del profeta si è compiuta ed è iniziato il cammino di conversione di Israele. La pioggia e la rugiada possono nuovamente cadere sulla terra.

 

La notte del profeta: 1 Re 19,1-18.

L'annientamento dei profeti di Baal provoca l'ira e la vendetta della regina Gezabele, che manda a dire a Elia: "Gli dei mi facciano questo e anche peggio, se domani a quest'ora non avrò reso te come uno di quelli". Elia è dunque minacciato di morte ed è colto dalla paura e dall'angoscia. Elia allora fugge per salvare la pelle e va verso sud, verso il deserto, l'Oreb. Fa il cammino dell'esodo a ritroso, dalla Terra santa al deserto. Dopo un giorno di cammino, di revisione di vita, si siede sotto un ginepro; è stanco, logorato, terribilmente sfiduciato. Emerge tutta la sua debolezza: dov'è l'uomo di fede che ha chiuso il cielo, che ha affrontato il re Acab, che ha sfidato con una fede salda i profeti di Baal, che infine li ha sgozzati ai piedi del Carmelo in esecuzione della legge di Mosè? Appare in lui il povero e misero uomo che lo abitava. E' sfinito dal suo essere profeta: lo slancio cade, cresce il dubbio sulla qualità della propria azione, cresce il desiderio di farla finita con la vita.

Profeta di fuoco, ma il fuoco può spegnersi in un istante. E allora è notte, è la notte oscura del profeta! Elia quasi per acconsentire alla morte, entra nel sonno. Ma Dio lo sostiene con pane e acqua e gli chiede di rialzarsi e di riprendere il cammino fino alla montagna di Dio l'Oreb, dove Dio aveva parlato faccia a faccia con Mosè. Giunto al1'Oreb entra in una caverna per passarvi la notte. Dio gli chiede di ripensare al perché più profondo della sua vita:

"Che fai qui, Elia?". La risposta di Elia: "Brucio, brucio per il Signore; i figli di Israele hanno abbandonato il tuo patto... Sono restato io solo, e cercano di uccidermi". Dio gli chiede di uscire dalla caverna e di stare fermo alla presenza del Signore. Ed ecco il Signore passò: un vento impetuoso e forte, un movimento della terra, un fuoco: ma Dio non era nel vento forte, nel terremoto, nel fuoco. E dopo il fuoco ci fu "un silenzio trattenuto", "un silenzio sottile" (meglio di "una brezza leggera" della CEI). Elia si copre il volto con il mantello: nessuno può vedere Dio e restare in vita. Le teofanie di Dio erano tutte violente, ma ad Elia Dio si rivela in modo nuovo come "silenzio trattenuto". Elia sta davanti al suo Dio che si rivela come silenzio. Dio gli rivela la sua nuova missione: deve ungere nuovi re, ungere un profeta che gli succeda e deve sapere che non è rimasto solo come profeta perché c'è un resto di settemila chasidim, che non ha piegato il ginocchio davanti a Baal.

 

Il rapimento di Elia: 2 Re 2,1-18.

Ormai per Elia viene l'ora della fine della sua missione. All'inizio del regno di Joram Elia termina il suo mandato e parte verso sud, verso il Giordano, là dove il popolo di Israele era entrato nella terra promessa, là dove era morto Mosè. Eliseo suo discepolo vuole accompagnarlo... Elia chiede ad Eliseo che cosa desidera da lui quando sarà rapito lontano. Eliseo chiede due terzi del suo spirito. Ed ecco giungere un fuoco che si interpose tra Elia ed Eliseo, un fuoco come un carro e dei cavalli... i due profeti sono separati dal fuoco ed Elia sale in quel vento infuocato verso il cielo. Elia è preso vivente sulla terra ed innalzato presso Dio in un carro di fuoco. Elia è vivente presso Dio per sempre!

Questo fuoco altro non è che l'amore; l'amore è forte come la morte, insaziabile come lo Sheol, le sue fiamme sono fiamme di Jhwh (cfr. CI 8,6). Ecco perché il Siracide dice: "Beato chi ti vide, Elia, addormentato nell'amore" (Sir 48,11).

Domine, dono tuo accendimur et sursum ferimur, inardescimus et imus... Arnen.

(Signore, attraverso il tuo dono siamo infiammati, siamo portati verso l'alto, bruciamo e ce ne andiamo... Amen)

 

* * *

Nota bene

La storia di Elia è la storia di una conversione: dal protagonismo nel suo rapporto con Dio e nella sua missione di profeta, ad un atteggiamento più passivo, (sempre più accogliente, sempre più disponibile a lasciare che Dio sia veramente Dio, il Signore nella sua vita).

La svolta è la teofania all'Oreb, dove il Dio vivente gli si manifesta non nel terremoto, non nel vento impetuoso, non nel fuoco, ma nel "silenzio trattenuto", nel "silenzio sottile". Il profeta di fuoco impara un modo nuovo per esprimere la sua passione per Dio. Dal fuoco al silenzio...

 

 Ai profeti il ruolo di oppositori contro re e idolatri

 Elia, «carro d'Israele e suo cocchiere», co­me lo definisce Eliseo. La parola di Elia esplode nella Bibbia senza annunzi o spiega­zioni, nella linea più pura del parlare profe­tico; e non lascia traccia di sé se non nel modo indiretto (cioè più genuinamente drammatico), che è la somma delle testimo­nianze altrui. Credo siano queste le ragioni - stilistiche, diciamo, o addirittura di genere - che mi hanno così vivacemente interessato alla lettura di un tale personaggio.

Quantitativamente non numerose, le sue apparizioni nel gran Libro recano tutte il segno del meraviglioso, la sintesi folgoran­te dei "colpi di scena". Un po' simile a quei personaggi di cui il racconto non segue le vicende di dettaglio ma solo le decisive epi­fanie, Elia campeggia in uno stretto nume­ro di scene-madri, di davvero "straordina­rie partecipazioni": la profezia della grande siccità resa al corrotto re Acab; la sfida sul Carmelo ai quattrocentocinquanta falsi pro­feti di Baal, e le impotenti invocazioni di questi, fino a che il vero Dio di Israele rispon­de a Elia e consuma l'olocausto di fuoco mentre il popolo persuaso si prostra; e poi il miracolo dell'olio e della farina a Zarepta, in Fenicia; o l'episodio della paura che, uma­nizzandolo nell'aura del dubbio e dello sconforto, lo fa fuggire nel deserto a cercarvi la morte (ma con un altro prodigio Dio lo salverà, inviandogli un cibo simile alla man­na e sostenendolo per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte Oreb).

Sì, proprio grondante di magia e di teatro, questo leggendario Elia; pensiamo solo alla scomparsa finale nel turbine di fuoco, fra le acque divise del Giordano: è un'immagine che sa di mitologia e di epica greca, mescola­ta ai preziosismi della favolistica orientale. E tuttavia è opportuno ricordare che il profilo di questo profeta visionario (ricostruito su una lettura che, sia pure a grandi balzi, si estende dall'Antico al Nuovo Testamento) è testimoniato dalle voci più alte e concettual­mente rigorose della scala teologica.

Oltre Gesù che - nel vangelo di Luca - cita Elia quale diretto strumento della mise­ricordia divina, il pensiero religioso ebraico gli attribuisce come guida spirituale un valo­re paragonabile a quello di Mosè, tanto che nella tradizione liturgica israelita gli vengo­no riservati culti e usi rituali (la sedia di Elia nella cerimonia della circoncisione; il calice di Elia nel pranzo pasquale, eccetera). Ma perfino la tradizione islamica lo cita quale maestro spirituale di Mosè e campione della pazienza religiosa nella diffusione del Verbo di Dio.

Grande, dunque, è il significato storico e teorico di Elia. Grande e (ciò che più conta) di estrema universalità e attualità: perché il nocciolo della sua predicazione è il rifiuto di qualsiasi compromesso tra fede e potere ter­reno. Questa è la sostanza della disputa con Acab, e di tutti i suoi anatemi e profezie. Elia difende il succo morale dell'insegnamento di Dio contro qualsiasi speculazione pratica o temporale furbizia; come forse nessun al­tro profeta, Elia parla di Dio e con Dio come un uomo di fronte a un altro uomo. I suoi sono discorsi concreti e fondamentali, che partono dalla storia di Abramo e dallo sci­sma dei due regni di Israele: il tema basilare è sempre quello della responsabilità diretta dei popoli e degli individui di fronte alle scelte morali e ai problemi della coscienza.

Naturalmente una figura così adamantina e autenticamente "fiammeggiante" non po­teva non attrarre l'attenzione degli artisti sul piano iconografico. Fra le tante raffigurazio­ni, spicca per me l'immagine che Marc Cha­gall ci ha lasciato del profeta assunto in cielo sul suo carro di fuoco: l'opera in vetro molti­plica gli effetti dello "stupore"; ne viene fuo­ri una sorta di affresco naϊf, che è la visio­ne soggettiva di E]iseo, il fedele discepolo di Elia.

Vittorio Gassman

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